La Cassazione Civile, Sez. Lavoro, con una sentenza di inizio anno, la n. 21 del 03/01/2019, ribadisce principi importanti in tema di danni risarcibili a causa di demansionamento.

Questo il passaggio più significativo:

“la gravata sentenza è conforme al principio di legittimità (ex aliis cfr. Cass. Sez. Un. n. 6572/2006; Cass. 6.12.2005 n. 26666) secondo cui, se è vero che il danno da demansionamento non è in re ipsa, tuttavia la prova di tale danno può essere data, ai sensi dell'art. 2729 cc, anche attraverso la allegazione di presunzioni gravi, precise e concordanti, sicché a tal fine possono essere valutati, quali elementi presuntivi, la qualità e la quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata qualificazione (cfr. Cass. n. 14729/2006; Cass. n. 29832/2008).

Infatti la Corte di merito, in adesione al suddetto principio, nel qualificare e liquidare i danni, ha valutato le condotte obiettivamente mortificanti patite dalla lavoratrice […], il parallelo avanzamento in carriera di dipendenti con qualifica inferiore, il silenzio datoriale in risposta alle legittime richieste di mansioni adeguate alla qualifica, le compromesse documentate condizioni di salute fisica e psichica concausalmente riconducibili al disagio prodotto nell'ambito lavorativo: il tutto unitamente alla minore ampiezza qualitativa e quantitativa delle nuove mansioni affidate che avevano determinato una depauperazione del bagaglio professionale già raggiunto dalla dipendente; la Corte territoriale, pertanto, ha osservato il principio secondo cui ogni pregiudizio, di natura non meramente emotiva o interiore, ma oggettivamente accertabile sul fare areddituale del soggetto, va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni (cfr. Cass. 19.12.2008 n. 29832)…”

 

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